sabato 17 marzo 2012

Il Sen. Mauro Maria Marino aderisce al Documento Corsaro: Indietro non si torna!

Il sen. Mauro Maria Marino ha aderito al documento dei Corsari di Torino “Indietro non si torna!” in risposta alla proposta di riforma della legge elettorale illustrata oggi alla GAM dall’ex presidente della Camera dei Deputati Luciano Violante.

Qui trovate il link al documento: Indietro non si torna!

Pubblichiamo anche la risposta alla proposta Violante della Presidente Rosy Bindi : 

LEGGE ELETTORALE, BINDI: NO BOZZA VIOLANTE, SI CONVOCHI ASSEMBLEA PD  
"Rosy Bindi e i Democratici Davvero, la componente del Pd che fa capo alla vicepresidente della Camera, in una riunione oggi a Roma hanno bocciato l'ipotesi di riforma elettorale cosiddetta bozza Violante e chiesto che venga convocata l'Assemblea nazionale del partito per discuterne."

http://www.democraticidavvero.it/no alla bozza Violante

mercoledì 14 marzo 2012

Prima regola corsara: Indietro non si torna

Seconda regola: Avanti tutta!

Noi Corsari siamo iscritti, militanti, simpatizzanti, eletti, amici del Partito Democratico di questa città e di questa Regione. Siamo convinti che questo Partito abbia le capacità di aprire se stesso al confronto con le aspirazioni delle donne, dei giovani e di tutti coloro che vogliono un luogo e uno strumento di partecipazione politica. Questo partito deve essere lo strumento per costruire una società più giusta in un Paese moderno. E può essere capace di parlare un linguaggio nuovo e di intercettare le aspirazioni delle prossime generazioni.

Le vittorie referendarie ci hanno portato ad eleggere direttamente i sindaci delle nostre città. Pochi mesi fa 1.200.000 cittadini (60.000 dei quali piemontesi) ci hanno chiesto di riformare l’attuale legge elettorale per poter finalmente scegliere da chi farsi rappresentare e da chi farsi governare.

Noi non siamo disponibili ad un compromesso al ribasso sulla scelta del governo, né siamo disponibili a tornare ai tempi in cui le segreterie di partito sceglievano in nome dell’appartenenza e spesso non del bene del Paese.

Siamo certi che i cittadini vogliano lasciare ai partiti la scelta del premier?

Il partito democratico è nato per sostenere un progetto di Paese che si deve tradurre in governo del Paese. Il nostro Partito non può snaturare la sua missione ritornando a leggi elettorali e architetture istituzionali che farebbero in parte venire meno lo stare insieme di identità e storie diverse.

Siamo grati a chi da molto, forse troppo tempo rappresenta il volto e la voce del nostro Partito e dei Partiti che lo hanno fondato. Siamo loro grati per quello che hanno fatto, non lo saremo se distruggeranno anni di battaglie per avere alternanza di governo e rappresentatività diretta. Sapendo che se lo faranno saranno gli stessi elettori a punirli e che noi non staremo fermi ad aspettare che questo avvenga.

I Corsari di Torino

sabato 10 marzo 2012

Articolo 18 - giusto per tentare di fare un po' di chiarezza

di Guido Alessando Gozzi

Ancora ieri, durante una riunione in ambito politico, ho rilevato che, anche tra gli iscritti e militanti del PD, continua a permanere una grande confusione in relazione all'art 18 e a molto di quanto ruota intorno all'argomento.
Vorrei quindi provare a dare un mio piccolo contributo teso a tentare di spiegare in maniera chiara e semplice la disciplina dell'interruzione del rapporto di lavoro, per iniziativa del datore di lavoro, denominata licenziamento.
Nello specifico per restare nel tema di cui sopra, di seguito, parlerò del licenziamento individuale e del licenziamento illegittimo rimandando ad altra volta un eventuale excursus relativo al licenziamento disciplinare e ai licenziamenti collettivi.

Le fonti normative che disciplinano il licenziamento individuale sono il codice civile, la legge 604 del 1966, la legge 300 del 1970 ( statuto dei lavoratori) e la legge 108 del 1990.

A seconda della dimensionalità di una azienda (semplificando, fino a 15 dipendenti e > di 15 dipendenti) un lavoratore licenziato può agire ai sensi della 604 del 1966, in un abito di tutela o stabilità obbligatoria, oppure, nel caso di azienda > di 15 dipendenti, anche ai sensi dell' articolo 18 della 300 del 1970, in ambito di tutela o stabilità reale.

Il licenziamento può avvenire per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo o oggettivo.

Cosa significa:


Giusta causa: qualcosa di talmente grave (anche di natura extracontrattuale) da non permettere fin da subito la prosecuzione del rapporto di lavoro (ad es io datore di lavoro, scopro che sul maestro di tennis assunto nel mio circolo per fare lezione a bambini in fascia di età 6-12 anni pesa una sentenza passata in giudicato per reati di tipo pedopornografico).
Giustificato motivo soggettivo: notevole inampimento del lavoratore tale da giustificare il recesso del datore di lavoro (ad es ti ho assunto per fare il commerciale nella mia azienda e in 8 mesi non hai chiuso nessun contratto).
Giustificato motivo oggettivo: quando un licenziamento ha luogo per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa (non ci sono ordini da 6 mesi e devo licenziarti, non serve più un group product manager e i pm risponderanno direttamente al direttore mktg etc etc etc).

Cosa succede se a seguito di un licenziamento (per i motivi di cui sopra) il lavoratore lo impugna entro 60 giorni?

Come scritto sopra, le conseguenze di un licenziamento ritenuto inefficace dal giudice dipendono dal numero di dipendenti impiegati nell’impresa:
in aziende fino a 15 dipendenti (tutela obbligatoria), il datore di lavoro può scegliere se riassumere il lavoratore oppure corrispondere allo stesso un’indennità tra le 2,5 e le 6 mensilità.
Quindi il ritorno o meno in azienda lo decide il datore di lavoro e se non ne vuole più sapere del suo ex dipendente, potrà liquidarlo con una cifra pari a 2,5 – 6 mesi di stipendio.
Se invece decide che il licenziato rientri in azienda si stipulerà un nuovo contratto di assunzione e per tutto il tempo intercorso tra il licenziamento e la riassunzione nulla sarà dovuto al lavoratore in merito a contributi, maturazione tfr etc.
Nelle aziende sopra i 15 dipendenti (tutela reale) invece entra in gioco il nostro articolo 18 che permette che il giudice possa emettere un ordine di reintegrazione del lavoratore licenziato nel proprio posto di lavoro, inoltre il suddetto riceverà un importo a titolo di risarcimento pari agli stipendi non percepiti dalla data di cessazione del rapporto a quella della reintegrazione (con un minimo garantito di 5 mensilità).
Inoltre il lavoratore potrà scegliere (Lui), se essere reintegrato (non riassunto! Vd sopra) oppure ricevere una ulteriore indennità pari a 15 mensilità di retribuzione, fermo restando comunque il risarcimento del danno e il risarcimento delle retribuzioni maturate fino alla data del pagamento delle 15 mensilità.

Cosa significa tutto questo?

Significa che in Italia ci sono una minoranza ipertutelata che, in caso di licenziamento impugnato, potenzialmente costerà ad un datore di lavoro 20 mensilità più tutte le mensilità pari alla durata della causa (tra 300 e 600 giorni) e una maggioranza meno tutelata che ,in caso di licenziamento impugnato, potenzialmente costerà ad un datore di lavoro tra 2,5 e 6 mensilità.

Infine bisogna affrontare il tema dei licenziamenti illegittimi:
un licenziamento illegittimo si ha quando ti licenziano perché: sei negro, sei musulmano, cristiano, comunista, liberale, iscritto ad un sindacato, gay, tifoso della Juventus o quant’altro vi venga in mente.
In questo caso sia che il lavoratore sia assunto in una azienda con meno di 15 dipendenti o in una con più di 15 dipendenti, si applica la tutela reale disciplinata dall’articolo 18 con quindi garantito il reintegro e tutte le tutele economiche descritte sopra.

Penso sia chiaro che non è quest'ultima la parte di articolo 18 che si discute se modificare o meno nell’ambito della riforma del mercato del lavoro attualmente in fieri.


Link alla nota di Guido

lunedì 5 marzo 2012

Attrezzare l'idea del Pd (1): ricostruire la fiducia interna

di Luigi Brossa

Il sistema politico italiano non funziona e il governo Monti, voluto assai prima dai mercati che dagli italiani, nè è al tempo stesso la dimostrazione e la possibile soluzione.

La crisi è ben rappresentato da due indicatori: il peso del debito pubblico e lo spread. Uno di stock, uno di indirizzo.

Il sistema politico ha invaso da tempo, troppo tempo, uno spazio che non può, non deve invadere, quello della formazione del consenso. Lo ha fatto sostituendosi molto spesso, attraverso un uso distorto e non limpido della spesa pubblica, nella libera formazione di quel consenso, non accompagnandone ed aiutandone lo sviluppo, ma acquistandolo, obbligandolo. Su questa drammatica contraddizione è già crollato un sistema politico, quello della prima repubblica, corriamo il rischio di assistere ad un nuovo crollo.

A motivare questa riflessione non sono solo ragioni morali o legali, ma la stessa razionalità economica che osserva come quel consenso viene acquistato a sempre maggior prezzo (il debito), proteggendo in modo esasperato i principali clienti del sistema, sino a diventare insostenibile per il futuro (spread).

Il Pd nasce con l'ambizione di superare e risolvere le contraddizioni del processo di legittimazione che ho descritto, sottraendola alle cerchie sempre più ristrette, e riportandolo attraverso le primarie nel vivo del confronto vasto egualitario e democratico .

Parallelamente il Pd intende assumere quel ruolo preminente nel centrosinistra (la cosiddetta vocazione maggioritaria) senza il quale non è possibile pensare alla democrazia bipolare. Non è possibile infatti appoggiare la democrazia bipolare su strutture che non abbiano dimensioni e solidità tali da reggere un vivace dibattito interno che porti a formulare, senza scissioni, senza disobbedienze gridate, senza veti, senza innumerevoli principi non trattabili, una linea politica. Non si sottovaluti, ancora una volta, questa condizione necessaria all'affermarsi del bipolarismo, pensando che tutto si risolva solo con il dibattito delle idee.

Quell'idea però ha subito, con la fine dell'esperienza Veltroni e con la segreteria Bersani una seria battuta di arresto. Una sorta di panico ha investito la grande struttura organizzata (non solo il partito, ma tutte le realtà associative, cooperative, amministrative, ecc. connesse) riportandola verso il passato. Paura di perdere le sicurezze e le posizioni di prestigio.

L'idea del PD però è nata, si tratta ora di attrezzarla, come una via in parete, una ferrata.



Frequento il partito (movimento, pci, pds, ds, pd) da tanti anni e della sua sopravvivenza ormai non mi curo più. Non perchè penso che possa sparire, ma perchè penso che sia necessariamente destinato a cambiare.

Passeranno elezioni e non resterà ciò che è stato, ne ciò che è.L'idea del bipolarismo ha fatto breccia, nell'esperienza corrente, nella vita quotidiana, nelle amministrazioni locali, come nelle coscienze dei cittadini.

L'idea del bipolarismo cancella il partito comunità, il partito casa, il partito che protegge, che occupa, che consola, che sottrae libertà per riconsegnare sicurezza.

Ma proprio questa progressiva scomparsa ci pone un nuovo problema: come regolare i rapporti politici per garantirne la qualità e sopratutto per garantire quella fiducia reciproca, tra i diversi contraenti del patto dentro il partito. Quella fiducia che sola può permetterci di reggere i problemi che in sede di attuazione delle politiche possono sorgere. Senza la solidità di cui parlo, ogni singola protesta diventa l'occasione per prendere le distanze, rallentare i processi di cambiamento, rimandarli e restare fermi. Mentre gli altri si muovono. E' quel che ci sta succedendo da decenni: il paese non cambia, non si adatta ai nuovi comportamenti, anzi, li ostacola. Esempi? Le coppie di fatto, il lavoro flessibile, il fine vita, la sicurezza per chi perde il lavoro, il sostegno all'attività imprenditoriale, il costo e l'ingresso nel mondo delle professioni ...

La nota di Gigi su Facebook

sabato 3 marzo 2012

Attrezzare l'idea del Pd (2): perchè nel partito

Molto spesso, gli amici con cui sono più in confidenza, quelli con cui ho condiviso in gioventù le prime ansie e le prime passioni politiche, mi domandano come io possa accettare di stare nel Pd e sopratutto come possa stabilmente sostenerne le ragioni, accettarne i compromessi, subirne le scelte anche quando queste sono l'opposto di quel che dico sarebbe giusto fare.

Tralasciando le spiegazioni a base psicanalitica, sono un paio le ragioni che mi portano a difendere, talvolta contro l'evidenza di una necessaria presa di distanza, le ragioni del partito grande.

La prima di queste è la necessità di poter far conto su un soggetto all'altezza della bisogna per la democrazia dell'alternanza. La democrazia bipolare ha bisogno infatti di almeno due aggregati collettivi, tra loro alternativi, che interpretino il ruolo di attrattori per le forze variamente coalizzate nel loro ambito di riferimento. Le ragioni di questa necessità risiedono nella continuità organizzativa, nella solidità del dibattito e della democrazia interna, nella possibilità di sperimentare costantemente la competizione delle idee senza perdere la necessaria freddezza, l'equilibrio, la stima ed il rispetto reciproco tra aderenti. Ragioni molto aziendali e poco politiche, mi rendo conto, ma anche l'organizzazione del pensiero orientato, finalizzato al governo di una nazione, ha le sue regole. E non bastano i diversi think-tank, serve un luogo riassuntivo ed anche istituzionale dove far confluire le loro elaborazioni perchè giungano a sintesi e/o selezione.

Secondariamente vi è poi una specifica professionalità che si sviluppa nella pratica politica continuativa, non dissimile peraltro da quella che si matura in tutte le grandi organizzazioni dai rilevanti rapporti col mercato. E' la capacità di dare corso alle decisioni, certo non prescindendo dai contenuti delle stesse, ma essendo prioritariamente capaci di usare al meglio delle tecniche che danno i migliori risultati in fase attuativa. Questa metodologia è un insieme di tecniche dalla gestione delle assemblee, ai rapporti con gli stakeholder, dalla abilità dialettica alla capacità di sintesi, che permettono di non vanificare, con errori metodologici, la bontà di una proposta, l'efficacia di una politica.

Entrambe queste ragioni sono ovviamente poco convincenti per coloro che al partito attribuiscono virtù salvifiche, e paradossalmente lo stesso vale anche per coloro che osteggiano, un po' aprioristicamente, il ruolo del partito, pensandolo come i primi, soggetto collettivo e non invece com'è, aggregato, azienda, associazione per l'attuazione delle politiche.





Altro

  1. Ricostruire la fiducia interna
  2. Perchè nel partito
  3. Ridefinire la leadership: L'enfasi sulla figura del leader, che per un po' ha preso il posto dell'idea di soggetto collettivo, lascia ora il posto alla delusione per quella promessa impossibile da mantenere e nello stesso tempo impossibile da aggirare. Leadership e pensiero collettivo.
  4. Finanziamento
  5. recupero dei delusi
  6. il metodo della legittimazione comprata nella prima repubblica e nella seconda
  7. vincere il prossimo congresso
  8. metti i migliori alla retroguardia
  9. un solo alleato a sinistra, IdV ha mentito.