sabato 9 giugno 2012

Il migliore candidato o forse no: forse … dipende da noi

Adesso tocca a noi “democratici di mezzo” decidere cosa fare, senza aspettare che sia qualcun altro a farlo per noi. Persi in questi anni in molti rivoli, fiumi e rigagnoli, giusto per non chiamarle “correnti” o “componenti” come i robot dei nostri cartoni animati d’infanzia. Riavvicinati di nuovo dalla nostra vecchia passione per la democrazia diretta, per l’ambizione di prediligere il bene del Paese a quello del partito.

Riavvicinati dall’idea che si debba chiedere direttamente al cittadino da chi vuole essere governato e che le ritualità della prima repubblica, così bene interpretate nella seconda, siano molto lontani dal nostro modo d’essere.

Riavvicinati dal referendum voluto da un professore sardo e cocciuto e firmato per primo da un professore bolognese che non ha più bisogno di dimostrare niente, ma che non si stanca di essere in prima linea e di richiamarci a tenere la barra dritta.

Sempre inquieti e testardi come l’asinello che ha visto un giorno insieme gran parte di noi. Il giorno che decidemmo di decidere e che alle idee affiancammo un’organizzazione: il nostro modello organizzativo, fatto di iscritti, di associazioni, di passione e anche di congressi. Capita infatti che quando l’uomo si organizza in una comunità, questa venga pervasa dagli stessi pregi e dagli stessi difetti di quella fantastica invenzione che è appunto l’uomo stesso.

Chi ci guida lo sappiamo, i nostri riferimenti li conosciamo, il legame con il territorio e la nostra capacità organizzativa, che spesso ci ha spaventato e di cui siamo tutt’oggi incerti, l’abbiamo dimostrata con il referendum. Nessuno pensi che il numero di quelle firme, la loro validità formale siano un miracolo. Quel numero e quella regolarità sono frutto di impegno, passione e ragione di chi ha coordinato il tutto e di chi si è lasciato coordinare.

Ora tocca anche e di nuovo a noi. I democratici della diaspora del ritorno, i ragazzi del referendum elettorale, le nuove amiche e i nuovi amici. Non serve un 2.0. Serve un nuovo inizio, con un nuovo lessico, con nuove parole, con nuove e vecchie persone. Se non sarà un battesimo, quanto meno serve una confermazione, ma serve un nome, una casa, una direzione.

Ci hanno dato le primarie, certo aspettiamo di vedere le regole. Noi vorremmo che ci fossero tutti. La coalizione è il perimetro. Le primarie sono il luogo della scelta della coalizione, del premier, del programma. Le successive approssimazioni non fanno parte del nostro modo politico. Ecco il primo bivio. Accettiamo che non venga richiesto a tutta la futura coalizione di governo di partecipare al momento fondativo della medesima? Come ha detto Bersani “solo i democratici e i progressisti lo farebbero” e i cosiddetti moderati no, così da avere mano libera di fronte ai loro elettori e all’Italia? E tra i democratici e progressisti accettiamo che non ci sia posto per tutti? Accettiamo delle pregiudiziali? No non è da noi. Ma soprattutto non serve al paese che vi siano pregiudiziali nel campo di chi si dichiara democratico e con questa dichiarazione nominativa si candida a governare il Paese.

Ma tant’è. Se le accettiamo. Se alla fine diciamo sì. Potremmo noi dire no. Noi che abbiamo fatto della costruzione del partito democratico, delle primarie come mito fondativo, della partecipazione diretta il nostro modo politico.

Insomma se ci saremo e ci saremo. Come vi partecipiamo? Chi sarà il nostro candidato? Chi sarà il candidato dei ……………. (i puntini servono perché non vi è ancora risposta al nome). Ecco il secondo bivio.

Molto probabilmente un giovane. Un giovane sindaco. Dai su non ci giriamo attorno. Siamo andati a Firenze eravamo lì come i clan scozzesi aspettando che il condottiero ci guidasse contro l’usurpatore inglese. Gli abbiamo chiesto di farsi avanti. E lui ha nicchiato. Ora cerca di ricucire.

Non ha fatto sicuramente il nostro percorso, sul referendum un po’ freddino diciamocelo pure, alcune volte troppo attendista per i nostri gusti. Così esasperatamente nuovo da non ricordare (o far finta di non ricordare) che cosa sia stato l’Ulivo e la fatica di ri-costruire il campo democratico pagando pressi molto alti. Non molto prodiano, sicuramente non ulivista. Liberale? Su questo spesso anche noi siamo stati tentennanti. Ha fatto solo il sindaco. Diciamocelo non ha lavorato un granché nella vita. Ha rotto con Civati, uno che insomma simpatico un po’ ci sta. E ora sembra voler rompere a sinistra. Preferirebbe le primarie del Pd a quelle di coalizione.

Quanti dubbi. Sarà il candidato migliore? Lo è se noi esistiamo. Ecco il punto. Lo è se noi abbiamo un nome, dei volti. Se noi non scompariamo. Siamo sempre stati gli ulivisti del capitano dell’Ulivo. Riusciremo ad essere i democratici della terra di mezzo aprendo le braccia il più possibile per tenere insieme tutti. Riusciremo ad essere truppe irregolari, ma organizzate per non permettere che qualcuno si dimentichi dove vogliamo andare e da dove arriviamo? Io non ammainerei la bandiera esposta sul balcone di Santi Apostoli una volta raggiunto il numero delle firme. Io la esporrei e prenderei il mare.

Davide Ricca