lunedì 12 dicembre 2011

11/12/11. Tornando da Bologna

Cosa abbiamo messo in moto e cosa dobbiamo ancora fare? Pessimisti della ragione o ottimisti della volontà? Il bicchiere, insomma, è mezzo pieno o è mezzo vuoto?

Le riflessioni autorevoli che ho avuto il piacere di ascoltare a Bologna, in una bella domenica referendaria e ulivista di dicembre, mi frullano nella testa e si congiungono alla riflessione che, con altri amici, stiamo svolgendo in questi mesi a Torino.

La presenza a Bologna di chi, nonostante tutto, continua testardamente a perseguire un progetto, l’Ulivo, non come qualcosa che è, ma come qualcosa che dovrà ancora essere, rende ancora più forte e valorosa la battaglia referendaria e il conseguente risveglio della democrazia.

Democrazia che, senza l’avventura intrapresa nei mesi scorsi da Arturo Parisi e da tutti i comitati sparsi in Italia, – consentitemi anche senza i Corsari torinesi – sarebbe oggi relegata ad accessorio utile, ma non necessario, per la salvezza dei conti pubblici del nostro paese.

La sconfitta della politica è sotto gli occhi di tutti, esattamente come lo è la vittoria della tecnica.

Il governo Monti rappresenta la necessità, il referendum elettorale la possibilità.

Possibilità per l’Italia di ricostituire attraverso forme di democrazia partecipativa, le più dirette possibili, il rapporto rotto tra le istituzioni e i cittadini.

Possibilità di costruire il partito democratico che volevamo, senza pensare che al suo interno non possano coesistere (anche se possiamo concederci di non condividerle) soluzioni divergenti ai problemi del Paese.

Possibilità di scegliere, controllare ed interloquire con i nostri rappresentanti, legandoli ad un rapporto con il territorio stabile e non occasionale.

Possibilità di andare persino oltre al Mattarellum nella definizione di un sistema di regole che preveda primarie pubbliche per ogni livello e maggioritario compiuto e definitivo.

Il referendum ha già contribuito a mandare a casa Berlusconi, molto più di quanto i partiti, che non hanno partecipato alla raccolta delle firme, vogliano ammettere. Il referendum rappresenta la migliore assicurazione sulla vita che si possa immaginare per il governo Monti.

Il referendum rappresenta un nuovo inizio.

Il referendum è quindi anche identificativo di un NOI. Un nuovo noi che, certo, ha radici solide nell’esperienza prodiano-ulivista, nell’asinello testardo, nel centrosinistratuttoattaccato, nella Canzone Popolare mai dimenticata, ma che oggi necessita di parole e lessico nuovo. Di una narrazione di quello che siamo. Di una soggettività che assuma contorni nitidi cui contribuisce, solo in parte, il Partito democratico di Bersani.

Un NOI, e parlo a molti degli amici con cui a Torino sto condividendo il percorso del Patto d’Azione, che non può essere solo collegato a scelte in campo economico, come non può essere solo etico, ma che deve necessariamente essere un noi sentimentale e pedagogico. Insomma un NOI politico.

Chi arriva dall’esperienza dei Comitati dell’Ulivo, chi non ha mai sostenuto il centro sinistra staccato non lavorerà mai per l’esclusione di qualcuno, anche se quest’ultimo fosse molto distante da lui. Se siamo maggioritari abbiamo bisogno di rappresentare la moltitudine, non i pochi.

E abbiamo bisogno comunque che in parlamento ogni voce abbia ascolto. In una geometria elettorale compiutamente maggioritaria, il “partito” del centrosinistra ha quindi bisogno di rappresentare in parlamento anche le posizioni più radicali dello schieramento che rappresenta. Radicali alla sua sinistra, certo, per usare categorie della modernità parlamentare che oggi sicuramente risultano ancora meno esaustive di ieri, ma anche radicali alla sua destra.

Ecco perché la battaglia all’interno di un partito che ho votato e che rivoterei non potrà mai essere la nostra unica battaglia. Ci è molto più congeniale la lotta, sicuramente molto più difficile e meno codificata e codificabile, di chi vuole essere il trattino, di chi vuole unire e non dividere, di chi vuole tenere assieme i pezzi. Un trattino che in futuro dovrà scomparire, ma che oggi è il nostro NOI.

Essere referendario oggi vuol dire essere il collante. Essere Corsaro significa esserci fino a quando la Repubblica non avrà più bisogno di noi. Rompere e rottamare se serve ma sempre per costruire. Costruire i Comitati per il Sì. Fin da subito. Oggi. Convinti che la Corte Costituzionale comprenderà quale servizio alla democrazia hanno reso oltre un milione e mezzo di persone che, da sole, contro gran parte dei partiti, hanno chiesto di ritornare a scegliere.

Davide Ricca

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti ai post sono in moderazione e quelli anonimi o dal contenuto offensivo hanno scarse possibilità di essere pubblicati.